Cinema, domani: il futuro della sala, dopo l’emergenza.
L'intervista di Cinemaitaliano a Michele Crocchiola, per esplorare i possibili scenari del cinema superata l'emergenza Covid-19.
Descrizione
Per parlare di come sta cambiando lo spettatore cinematografico, e di quale immagine e identità dovrà avere la sala di domani, Antonio Capellupo ha intervistato Michele Crocchiola, direttore della Fondazione Stensen di Firenze.
Come vivi questo momento, e cosa fa un esercente cinematografico per mantenere attivo il proprio lavoro nonostante le serrande abbassate della sala?
Personalmente cerco di mantenermi attivo nelle attività lavorative e per fortuna ci sono anche altri esercenti che sono rimasti operativi e propositivi. Manteniamo viva una rete di relazioni che è precedente a questa situazione per confrontarci sullo stato attuale ma anche sulle prospettive future. Magari rimarranno progetti, magari no e dal confronto continuo potranno nascere innovazioni e nuove opportunità. In ufficio, cioè da casa, sto seguendo qualche manutenzione che era necessario fare, e ne stiamo approfittando per migliorare un po’ la parte tecnologica della Fondazione Stensen. Sarebbe bello poter usare questo tempo per migliorare i nostri spazi e fare dei lavori, ma invece che valutare degli investimenti mi sento spesso con il nostro consulente del lavoro per la cassa integrazione dei colleghi di lavoro.
Sono giorni in cui chi ha fame di cinema sta scoprendo, o riscoprendo, vecchie e nuove piattaforme VoD. Pensi che alla lunga tutto questo possa andare a rimettere in discussione la centralità della sala?
No, non credo. C’è (ancora) una differenza tra vedere un film e vivere un’esperienza. Questa tendenza di visione casalinga era già esplosa prima della crisi attuale. La realizzazione della piattaforma Disney+ era già stata decisa anni fa, anche se ora come ora sembra che la major americana abbia avuto un tempismo perfetto. Quello che il virus ha messo in crisi non è la possibilità di vedere film (tra offerta online legale e illegale, televisione, home video – per quanto residuale – c’è una quantità quasi infinita di contenuti audiovisivi) ma è la nostra socialità, la condivisione fisica di un’esperienza – che sia fare una corsa insieme o vedere un film al cinema con gli amici. Penso che la maggiore offerta soprattutto su internet manterrà viva l’attenzione sul cinema e aumenterà la scoperta di registi, attori, cinematografie anche lontane. La grande scelta penso faccia bene a tutti. Quando la quarantena finirà cercheremo prima di tutto una socialità sicura, con i nostri cari, con gli amici e avremo fatto una scorpacciata di film, a quel punto il cinema non sarà in cima ai pensieri dei tanti ma sicuramente di un agguerrito e appassionato numero di fedeli frequentatori. Poi torneranno anche tutti gli altri. Certo serviranno i film di traino – sia i blockbuster che i grandi film d’autore. Il fatto che il Festival di Cannes sia a rischio è un problema per la centralità della sala quasi maggiore che la chiusura dei cinema, insomma è il nostro modello promozionale-distributivo che è messo in crisi, ma nel momento che potrà riprendere, anche con modalità differenti, non lo nego, la sala tornerà ad essere parte della filiera del consumo cinematografico. L’importante è che nel frattempo non ci siano troppe chiusure definitive…
Il rischio che molte sale, soprattutto all’interno di circuiti indipendenti, possano non avere la forza di riaprire sembra un dato certo. Quale forma di aiuto e tutela da parte dello Stato pensi che aiuterebbe maggiormente il piccolo e medio esercizio cinematografico a poter proseguire nel suo lavoro?
Innanzitutto è necessario che lo Stato si “metta in pari” con i contributi ordinari che le nostre sale ancora devono riscuotere dagli anni passati. Credo sia importante che ogni ulteriore contributo sia commisurato alle prospettive di (ri)apertura e esercizio che i cinema potranno esercitare nei prossimi mesi/anni. Servirà un tavolo che metta insieme i rappresentanti del piccolo, medio e grande esercizio insieme al Ministero e ai rappresentati dell’Anci perché la politica dei Comuni dovrà essere di tutela di questi spazi che al limite potranno essere congelati, evitando una dismissione generalizzata con la prospettiva che tra qualche anno ci ritroviamo ancora altri spazi abbandonati e/o riconvertiti e dunque un tessuto sociale ancora più impoverito. Io penso che sì, servirà un aiuto economico, tutto da quantificare, ma anche un grande sforzo di chiarezza verso tutto il comparto dello spettacolo, aiutando chi cercherà comunque di andare avanti e investire, nonostante tutto.
Si parla molto delle possibili reazioni che la gente avrà quando le attività torneranno a riaprire. C’è chi pensa che trionferà la paura del “vicino” e chi è sicuro che a vincere sarà la voglia di socialità. Nell’uno o nell’altro caso, come pensi dovrà essere la sala di domani?
Credo che le due reazioni convivranno. E ovviamente dipenderanno moltissimo da come si svilupperà la pandemia. Credo anche che a certe condizioni (organizzative e tecnologiche) il rischio di contagio possa essere molto limitato salvando l’esperienza cinematografica. Penso che la sala di domani sia molto simile a quella di adesso, ma che si accentueranno alcune tendenze già in atto: maggiore automazione, a partire dall’acquisto dei biglietti; maggiore identità territoriale del cinema e rapporto più stretto (e di fiducia) con lo spettatore; chi potrà investirà in strutture con più sale, più piccole invece che uno o due schermi con tanti posti. Quello che cambierà sicuramente – e non so come – saranno le responsabilità del nostro personale, attenzione, sorveglianza, sanificazione… A livello macro, permettimi un’aggiunta, ci sarà anche un’altra tendenza – una maggiore integrazione verticale tra esercizio e distribuzione/produzione. E forse un continuo accorciamento delle windows tra le varie modalità di visione…
Ad inizio stagione avete portato in sala come Fondazione Stensen, assieme a Valmyn, il documentario “Antropocene”, divenuto un vero e proprio caso cinematografico. Un’esperienza, quella della “sala che distribuisce”, che aveva già visto protagoniste anche altre realtà come il Beltrade di Milano e il Postmodernissimo di Perugia. Credi che siano destinati a essere dei casi sporadici, o possa divenire nel tempo un modello perseguibile?
Come dicevo, è una tendenza che credo si amplierà. Certo, il nostro esempio è piccolo, economicamente parlando, e tale rimarrà anche in futuro, se ci saranno ulteriori esperienze. Ma le sale cercheranno contenuti “esclusivi” e gli aventi diritto cercheranno nuovi accordi con le sale (sempre che riaprano). Qualche matrimonio di convenienza ci potrà essere. Sul segmento dei cinema che segnali temo però che rimarrà un’attività sporadica e limitata a quelle strutture che hanno le risorse umane oltre che economiche per muoversi su più ambiti. Non riesco a immaginare che si crei un modello di distribuzione alternativo che possa contribuire in maniera significativa al nostro mercato. Ricordiamoci che ci sono già realtà distributive che nascono dall’esercizio – cito Tucker Film, costola del Visionario di Udine e di Cinemazero di Pordenone, e Academy2 che fa capo al circuito di sale genovese. Due esempi virtuosi di come esercenti bravi e lungimiranti possano fare anche distribuzione, ma creando delle (piccole) organizzazioni solo dedicate a questo.