
BUON NATALE E BUONE FESTE
A tutti i nostri affezionati frequentatori auguriamo Buon Natale con una riflessione del nostro Presidente, Padre Ennio Brovedani.
Descrizione
È difficile trovare nel mondo una ricorrenza così ampiamente condivisa, celebrata e partecipata in moltissimi Paesi, come il Natale. Nella grande varietà delle culture e delle etnie, tutti in diverso modo, se ne sono appropriati. E una festa può essere così universale, solo se evoca e celebra temi, problemi e valori fondamentali propri di ogni essere umano.
La parola natale, infatti, vuol dire “nascita”. E celebrare il Natale, come del resto ogni natale, significa ricordare o fare memoria del giorno della nascita, del nascimento, o dell’inizio della vita, di una vita nuova.
Sappiamo tutti che la nascita permane pur sempre un mistero (o, per lo meno, stupisce); anche se oggi conosciamo molto di più sulla biologia della nascita (anzi, sappiamo quasi tutto) e disponiamo di tecniche biomediche in grado di controllare i processi riproduttivi, fino nei minimi dettagli e, addirittura, di correggere e innovare il corso stesso della natura. In altre parole, siamo noi a decidere di far nascere, non più la natura.
L’evento del “Natale”, pertanto, anche genericamente inteso nel suo “naturale” significato di nascita, invoca un senso e un significato che, in quanto tali, trascendono le potenzialità del nostro sapere e potere tecno-scientifici, e in diverso modo variano in relazione alle etnie e culture di appartenenza.
Oggi, però, noi non celebriamo la nascita in senso generale, ma la nascita di Gesù. E, nel fare memoria del Natale di Gesù, la liturgia che stiamo celebrando ci ricorda che il mistero di Dio si è finalmente rivelato e, in un certo senso, continua a rivelarsi nel volto tenero e seducente di un infante. Da tempo, in Europa e nel mondo, il Natale si presenta piuttosto usurato, vuoto di contenuti, di prospettive e di futuro credibile. Il contesto storico-globale in cui viviamo è profondamente mutato.
Sarebbe, però, riduttivo e banale cedere alla tentazione critica e al pessimismo, per cogliere del Natale solo gli aspetti esteriori, sentimentalistici e folcloristici, e approdare, poi, ad una sterile rassegnazione o indifferenza. Il tempo che stiamo vivendo non consente fughe dalla responsabilità o alienazioni consumistiche, anche se alimentate dai più nobili sentimenti e affetti.
In un momento così delicato, sia politico e sia ecclesiale (nazionale e internazionale), in cui spesso prevalgono logiche conflittuali, utilitaristiche e, a volte, anche distruttive, logiche che minacciano la sopravvivenza stessa della tanto sperata e usurata democrazia, il Natale dovrebbe divenire occasione di discernimento e di conversione, per saper cogliere, a cominciare dai valori condivisi, la qualità morale delle relazioni sociali, dell’agire politico e delle relative scelte.
Attingere con fiducia e abbondanza alla pienezza di vita proposta dal Natale, assumere e sondare gli orizzonti e le profondità del mistero di Dio, significa aprirsi al senso della vita e della storia, e favorire quella mediazione antropologica ed etica che rappresenta sicuramente uno dei contributi più importanti che, non solo i cristiani, ma anche tutti gli uomini impegnati in politica possono offrire alla società civile, per un’autentica rigenerazione del tessuto sociale, culturale, politico e confessionale.
Possiamo allora chiederci se il Natale sia ancora una festa cristiana, dal momento che, in ragione soprattutto del richiamo all’importanza e all’essenzialità degli affetti e dei valori, oltre i credenti, vi partecipano anche i non credenti: sia l’ateo che non crede più in Dio, sia l’agnostico che si definisce tale perché dice di non sapere se Dio c’è o esiste, sia il laico che nelle sue scelte etiche prescinde dalla nozione di Dio (o vive come se Dio non esistesse).
Il senso proprio del Natale cristiano, infatti, sembra essersi universalmente trasferito dalla mangiatoia o dalla grotta dove è nato Gesù, nel luccichio dei negozi e degli alberi di Natale, nella sovrabbondanza dei supermercati, nelle evasive proposte delle agenzie di viaggio. Per cui la domanda è: che significato possiede ancora il Natale per un cristiano che vive in una cultura opulenta, globalmente laicizzata, dell’Occidente “cristiano”, o, meglio, di “memoria cristiana”?
Una celebrazione può essere così universale, come di fatto è divenuto il Natale, solo se evoca e celebra tutte le dimensioni dell’umano (quei “cieli nuovi” e quella “terra nuova”, acclamati dalla Tradizione profetica) e non solo tenerezza, semplicità e innocenza, per quanto emotivamente e poeticamente coinvolgenti (sarebbe troppo intimistico e riduttivamente consolatorio).
Tuttavia, l’aspetto forse più rilevante e responsabilizzante del Natale cristiano, nell’immaginario simbolico-evocativo con cui ci è stato tramandato, non è tanto la contemplazione della natività, quanto la rivelazione della “prossimità” di Dio, della sua reale vicinanza e presenza nelle più drammatiche e cruciali periferie della condizione umana.
Non a caso Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, continua a ribadire la dimensione e l’imperativo della “prossimità”, in considerazione anche, e soprattutto, degli sviluppi e della crescente globalizzazione della popolazione mondiale (che ha già superato la soglia degli otto miliardi).
Il mondo attuale, però, —ammonisce ancora Papa Francesco— è caratterizzato da una “molteplice ed opprimente offerta di consumo” (senza precedenti nella storia dell’umanità). Un consumismo insidioso che incatena l’uomo, rendendolo triste: “una tristezza individualista” che scaturisce da un cuore diventato “accomodante e avaro”. E quando la vita interiore è ingabbiata e catturata nei propri interessi “non vi è più spazio per gli altri” e non palpita più la gioia e “l’entusiasmo di fare il bene”.
L’insidia di oggi è il “consumismo”, nel contesto di una società crescentemente “plurale”, dove coesistono, ma non convivono ancora, molteplici etnie, culture e confessioni religiose.
In questi ultimi anni, inoltre, al di là dei tradizionali aspetti di costume, ci stiamo accostando alla celebrazione del Natale, che è liturgia di pace, con l’animo pieno di sgomento per i crescenti episodi di smisurata e inaudita violenza. Episodi che mettono a repentaglio tutte le nostre capacità di comprensione, per quanto possiamo essere disincantati e allenati a capire anche l’incomprensibile. Basti solo pensare all’insensata guerra Russia-Ucraina.
La celebrazione del Natale può essere allora una circostanza adatta perché le riflessioni e i sentimenti che condividiamo ci diano non solo consolazione (come speriamo), ma anche un maggior senso di responsabilità.
Con riconoscenza e gratitudine,
P. Ennio Brovedani sj
Presidente Fondazione Stensen
Fonti della riflessione:
Papa Francesco
P. Ernesto Balducci
Mons. Nicola Borgo
Prof. Umberto Galimberti
Immagine: Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli (1445 – 1510)