
DIBATTITI IN CORSO – L’EMBRIONE UMANO TRA NATURA E ARTIFICIO
Le divergenze che rendono difficile uno “statuto condiviso” dell’embrione: che cos’è o chi è l’embrione umano?
Descrizione
L’EMBRIONE UMANO TRA NATURA E ARTIFICIO – Il controverso dibattito internazionale
Da diversi decenni in seguito al crescente sviluppo di nuove tecnologie riproduttive e biomediche, che non solo ci “assistono” nel continuare a concepire e procreare “secondo natura”, ma ci consentono anche di “produrre” artificialmente in laboratorio ovuli, embrioni, organismi geneticamente manipolati (OGM), — inclusa la prospettiva della clonazione umana terapeutica e riproduttiva — si ripropone il problema della loro natura e identità e, in termini giuridici, del loro “statuto”: “che cos’è” e/o “chi è” l’embrione umano nelle diverse fasi del suo sviluppo?
All’origine del dibattito internazionale in corso sussistono delle divergenze culturali e interpretative, che rendono difficile e, per ora, non ancora possibile la definizione o formulazione di uno “statuto condiviso” dell’embrione, che consenta di avviare una politica comune di regolamentazione della ricerca embriologica e del ricorso all’ampio e crescente ventaglio di possibilità terapeutiche che si prospettano.
Per una descrizione dello stato della problematica in corso relativa alla natura e identità dell’embrione umano, clicca QUI e leggi o scarica l’articolo di P. Ennio Brovedani sj: L’embrione umano tra natura e artificio – Il controverso dibattito internazionale.
Alla base di queste divergenze, infatti, vi sono vari interrogativi, ricorrenti e non ancora risolti, concernenti in primo luogo la natura propria o “intrinseca” dell’embrione umano:
a) Gli embrioni umani sono “esseri umani” fin dal primo istante della loro formazione, a prescindere dalla loro origine (in “utero” o in “vitro”), — come se già tutto fosse iscritto nel loro genoma (DNA)? Oppure non lo sono ancora, ma lo diventano, per il concorso di svariati elementi o fattori ambientali, che in diverso modo condizionano l’attivazione delle “frequenze geniche” specie-specifiche e il loro stesso sviluppo e destino?
b) La qualifica di “essere umano” è una proprietà intrinseca, costitutiva o — in senso teologico — “infusa” nel “primo istante” o momento della formazione dell’embrione? Oppure, è l’esito di un processo di differenziamento cellulare, di organogenesi e crescente complessificazione? Per cui, nei primissimi o anche successivi stadi del loro sviluppo, possono essere considerati degli “ammassi o sistemi cellulari” in corso di accrescimento e la sperimentazione sull’embrione umano sarebbe quindi consentita?
c) C’è una differenza “sostanziale” tra un embrione “naturalmente generato” in seno al ventre materno, nell’ambito di un progetto genitoriale o meno, e un embrione “artificialmente prodotto” in laboratorio in funzione della conoscenza scientifica e della ricerca terapeutica?
Di fronte a tali interrogativi, la maggioranza dei biologi, degli embriologi e dei rapporti delle Commissioni di Etica Biomedica internazionali colloca l’individuazione del sorgere di una vita umana autonoma al di là del momento della fecondazione, anche se in termini non unanimi relativamente allo specifico stadio di sviluppo. La non unanimità, però, è a sua volta l’esito di divergenti concezioni o precomprensioni filosofiche che soggiacciono alla pluralità delle interpretazioni in merito.
Lo stesso ordinamento giuridico statale vigente, infatti, si è trovato più volte nelle condizioni di doversi avvalere di un modo non sempre condiviso d’intendere la vita umana e la nascita dell’individualità personale. In una società sempre più plurale, in cui convivono etnie, culture e confessioni religiose dai valori spesso non convergenti, le norme giuridiche devono effettivamente essere configurate in modo tale da consentire decisioni conformi alle diverse convinzioni morali. Il passaggio dal biodiritto alla biopolitica, però, esige che ogni teoria venga messa alla prova dei fatti, ossia, confrontata con la realtà della pratica scientifica, sociale e sanitaria. A cosa servirebbe infatti una bella e condivisa definizione dello statuto dell’embrione se non aiutasse a risolvere i problemi reali?