FONDAZIONE STENSEN – PER UNA CULTURA DELL’INTERROGAZIONE

Una riflessione sulla politica culturale che la Fondazione Stensen ha maturato e perseguito nel corso dei suoi oltre 20 anni di presenza a Firenze.

Descrizione

La gestione sociale e politica della crescente multi-culturalità, multi-etnicità e multi-confessionalità che caratterizza sempre di più la civiltà contemporanea rappresenta una delle più impegnative sfide e responsabilità che nei prossimi decenni coinvolgerà in diverso modo tutti i cittadini, ma soprattutto le nuove e future generazioni.

Come è possibile allora affrontare questa sfida e offrire ai cittadini, in relazione ai loro diversi ruoli e responsabilità sociale e civile, dei criteri o strumenti metodologici utili per una prima qualificazione, interpretazione e comprensione delle nuove e complesse problematiche etiche, giuridiche e politiche emergenti nel contesto di una società “plurale”, caratterizzata e composta, cioè, da una molteplicità di tradizioni e di sensibilità culturali, morali e confessionali dai valori non convergenti?

Com’è possibile, in altre parole e in termini operativi, “fare cultura” in una società non più banalmente o sbrigativamente “pluralistica” – che suscita permanentemente irriducibili conflitti tra “relativismo”, “fondamentalismo religioso” e “laicismo”, – ma sempre più “plurale”, per favorire la ricerca del “bene comune” e consentire in tal modo il delicato passaggio da una mera coesistenza sociale a una solidale e responsabile convivenza civile di tutti i cittadini, nel rispetto della dignità culturale di tutti, ossia, dei “valori aggiunti” specifici e propri delle svariate comunità civili, etniche e confessionali di appartenenza?

Nella riflessione che segue vi proponiamo la “politica culturale” che la Fondazione Stensen ha maturato e perseguito nel corso dei suoi oltre 20 anni di presenza a Firenze: proporsi quale “luogo” non tanto di “confronto e dialogo”, come prevalentemente e diffusamente avviene ancora oggi, quanto semmai di ricerca e “interrogazione comune” sulle inedite complessità sollevate da una società sempre più “plurale”, che coinvolge ogni cittadino – quale che sia la sua comunità di appartenenza – in una riflessione e responsabilità comune.    

 

PER UNA CULTURA DELL’INTERROGAZIONE

 

Da tempo ormai si percepisce quanto la nostra raffigurazione del mondo sia in piena fluttuazione e stia profondamente e forse irreversibilmente mutando. Gli sviluppi delle tecnoscienze, le politiche economiche mondiali e la crescente globalizzazione hanno reso sempre più contigue e reciprocamente interferenti le diverse culture e umanità che abitano la terra. Stiamo infatti vivendo una fase storica epocale, non solo per la novità e l’estrema complessità dei problemi e interrogativi sollevati e per le conseguenti sfide che si prospettano per l’immediato futuro, ma anche nel senso etimologico di “sospensione di giudizio” (epochè), di prudenza valutativa.

In diversi ambiti culturali e istituzionali di ricerca e riflessione, nella stessa opinione pubblica, è sempre più ricorrente l’espressione “svolta antropologica”, per indicare il lento processo di secolarizzazione e laicizzazione delle relazioni umane, ossia, la graduale dissoluzione individuale, culturale e sociale di quell’immagine dell’uomo che nel corso degli ultimi secoli ha dato un’identità e un volto all’Europa cristiana e al cosiddetto Occidente, e che in parte ancora oggi continua segretamente a governarci o condizionarci come residuo archetipo.

Viviamo, infatti, in un contesto sociale e istituzionale sempre più laico, in cui l’emergenza e la valorizzazione dell’individuo, con la sua libertà, la sua coscienza e i suoi diritti, non è banale individualismo, – come a volte e un po’ sbrigativamente si sostiene, – ma espressione di una più matura consapevolezza delle proprie responsabilità personali e dei corrispondenti doveri. La laicità, in altri termini, non è semplicemente una sensibilità o una opzione personale, ma di fatto è, o dovrebbe essere, lo statuto nuovo e dominante della cittadinanza e della cultura contemporanea, in ragione anche della crescente multiculturalità, multietnicità e multi-confessionalità. Correttamente intesa, – quale “luogo” e metodo di riflessione comune sui molteplici problemi complessi che sempre più frequentemente dobbiamo affrontare, – essa non si contrappone alle religioni e non le esclude dalla dimensione pubblica, diversamente regredirebbe a ideologia “laicista”. Lo Stato liberal-democratico e secolarizzato, infatti, si nutre di premesse normative la cui interpretazione evolutiva va ricercata e concordata con il concorso di tutte le componenti socioculturali, nel rispetto dell’autonomia legislativa dello Stato o della comunità civile di appartenenza.

I percorsi che alla Fondazione Stensen elaboriamo e proponiamo – rivolti ai cittadini, quale che sia la loro appartenenza sociale, culturale, etnica e confessionale, – sono decisamente innovativi. Questo, non tanto nei contenuti, – nella proposta, cioè, di includere gli ambiti, i temi e i problemi più attuali e discussi (che non li differenzierebbero da molte altre pregevoli iniziative), – quanto nel metodo da adottare per una prima analisi e valutazione generale delle complesse problematiche sollevate dai rapidi sviluppi e applicazioni delle tecno-scienze di questi ultimi decenni, nel campo della biologia, della medicina, dell’informatica, dell’ecologia, ecc., in ragione del loro impatto sulla società, la cultura e la qualità della vita, con interrogativi spesso gravi e suscettibili di risposte diverse, a seconda dei valori di riferimento. Un metodo, in particolare, adeguato alla complessità e novità delle problematiche e delle loro implicazioni, nel contesto di una società “plurale” (*), caratterizzata e composta, cioè, da una molteplicità di tradizioni e di sensibilità culturali, morali e confessionali dai valori spesso non convergenti. (*)

(*) Preferiamo usare il temine “società plurale” piuttosto che “pluralistica” per evitare e prevenire la sterile polemica “pluralismo/relativismo”, o la rigida e spesso inconcludente contrapposizione “laici/cattolici”. Come preferiamo parlare di culture e sensibilità “non convergenti”, piuttosto che “divergenti” o “inconciliabili”. Ci sembra anche che il termine “interconfessionalità” sia più adeguato ad evocare la pluralità e varietà delle esperienze e tradizioni spirituali umane.

La gestione sociale e politica della multiculturalità, multietnicità e multi-confessionalità, infatti, rappresenta una delle più impegnative sfide e responsabilità che coinvolgerà un ampio ventaglio di cittadini: ricercatori, sanitari, psicologi, filosofi, giuristi, insegnanti, sociologi, clero, giornalisti, amministratori pubblici, ecc.

Nel tentativo di ricercare ed elaborare un metodo adeguato è allora importante determinare le circostanze e le diverse condizioni o fattori che caratterizzano la dinamica propria e l’emergenza di possibili situazioni conflittuali e/o dilemmatiche. E questo, prima ancora di ricorrere all’immediata applicazione di principi generali a situazioni puntuali o individuali, o di far riferimento ai propri sistemi valoriali, per risolvere direttamente i problemi, in base cioè ai tradizionali criteri o metodi di valutazione.

Piuttosto che adottare soluzioni immediate ai problemi, ricorrendo, a seconda delle circostanze, alla specificità dei sistemi valoriali della comunità civile o confessionale di appartenenza, conviene ricercare e proporre un nuovo modo e metodo di formulare i conflitti e di interpretare i problemi emergenti. Dall’insieme delle contraddizioni rilevate, associate e integrate nel loro proprio contesto, possono infatti nascere dei meta-punti di vista utili a reperire, in termini anche molto generali, dei possibili criteri unificanti e apportare delle nuove soluzioni – per quanto provvisorie – alle problematiche che sorgono.

In questo modo si possono offrire ai diversi operatori, – ma anche ai cittadini interessati – dei criteri o strumenti metodologici utili per una prima qualificazione, interpretazione e comprensione della situazione problematica e conflittuale in corso, previamente ad ogni successiva valutazione in conformità al sistema valoriale della cultura, etnia o confessione di appartenenza, che ne rappresenta – in ogni caso e nel rispetto della dignità culturale di tutti, – un ulteriore e, perché no, apprezzabile “valore aggiunto”.

Nel tentativo di elaborare un metodo adeguato alla complessità delle problematiche e delle relative implicazioni, – quale procedimento previo e introduttivo ad ogni ulteriore possibile valutazione, – gli aspetti da prendere in considerazione possono essere svariati e molteplici.

Per quanto complessi essi siano, ci limitiamo qui ad indicarne alcuni.

  1. Il riconoscimento e l’indicazione dei principali valori implicati nella situazione conflittuale in questione. Operativamente, un’analisi descrittiva e esplicativa del quadro problematico: dei presupposti, degli argomenti, delle implicazioni, degli interessi soggiacenti, delle diverse credenze, delle componenti ideologiche, delle argomentazioni che si affrontano nel corso di dibattiti e nella corrispondente letteratura specializzata, ecc.
  2. L’importanza e la circoscrizione del contesto proprio all’emergenza della situazione conflittuale, includendo nell’analisi dei problemi sollevati l’evento in oggetto e la sua storia. Nella riflessione bioetica, per es., ciò si traduce con una presa in considerazione del contesto e dell’epoca in cui insorgono i dilemmi etici.
  3. Il concorso, l’interazione e l’integrazione di possibili e imprevisti eventi aleatori. L’analisi dei problemi deve anche prendere in considerazione il ruolo evolutivo degli antagonismi e dei conflitti in seno alla società. Uno degli obiettivi dell’etica per la complessità, infatti, è di far emergere, nel corso della loro evoluzione, le diverse interazioni all’opera, quello che Edgar Morin chiama “ecologia dell’azione”, ossia, la deriva subita da ogni azione umana, a cominciare dal momento della sua attuazione, in ragione di interazioni multiple e ricorsive, che la distolgono dal suo scopo e che a volte le danno una destinazione contraria a quella che era intesa.
  4. L’articolazione complessa dei diversi ambiti di esperienze e conoscenze, implicati nel contesto proprio e nell’interpretazione della problematica, richiede l’integrazione dell’osservatore nell’osservazione. Si tratta di superare e di riunire le differenti e limitate prospettive delle descrizioni scientifiche e delle varie discipline specialistiche, che sono in realtà interdipendenti, per rendere possibile la comunicazione transdisciplinare tra sfere di conoscenza distinte e autonome, ma non indipendenti.
  5. L’esercizio di una ragione auto-critica e aperta: la consapevolezza, cioè, di possibili precomprensioni o pregiudizi, condizionati da quel bagaglio di valori, miti e interessi della cultura di appartenenza, che segnano ogni essere umano e l’influenzano in tutti gli aspetti della sua esistenza.

L’idea all’origine delle nostre proposte nasce proprio dall’esigenza di offrire ai diversi e molteplici operatori – ma anche ai cittadini, – un percorso di introduzione metodologica alla complessità delle nuove problematiche emergenti che non è banale complicazione o sommatoria di meccanismi causali e aleatori noti e conseguenti, – che ne consentirebbero anche formalmente una loro previsione e possibile controllo – ma l’esito di molteplici e intricate interrelazioni e dinamiche sociali, culturali, economiche, storiche e non solo.

Fondazione Stensen

 

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Immagine: “JOUR D’ÉTÉ” (8-7-57) di Corneille